Venerdì 28 ottobre ore 20:30 presso l’Associazione Fasano Antirazzista presentazione del libro di Francesco Berlingieri
“E non vorrei lo sai lasciarti mai perchè”

“Se fossi nato a Roma? Roma, Roma.
E a Torino? Beh, c’è da chiederlo. C’è una sola squadra a Torino.
E a Birmingham? Zulu! Tutta la vita proprio.
A Liverpool? Sai che non lo so. L’Everton mi affascina.
A Londra? Tottenham.
Ma in definitiva, dimmi un po’, tu dov’è che sei nato?
A Foggia.”

124 pagine di pura passione per un calcio che fu. “E non vorrei lo sai lasciarti mai perché” è un libro che arriva dritto al cuore di chi vive il calcio con passione, una passione sana, da ultra con la U maiuscola. Lo scenario è quello di una città del Mezzogiorno, Foggia, che è diventata famosa, calcisticamente parlando, nell’era di Zemanlandia. Anche se il racconto si snoda tra episodi calcistici che ricordano solo le pagine dell’Almanacco e qualche agguerrito dal sangue rosso-nero; episodi che si discostano dagli anni d’oro di Zemanlandia. L’Urss, la Mitropa Cup, Medford, le trasferte a Giarre o Forlì, lo Zaccheria stracolmo, il Rapid Vienna, il subbuteo, di un Real Madrid-Foggia del 1987 e le partite infinite in mezzo alla strada.
L’autore, Francesco Berlingieri, alias Lobanowski 2 o viceversa, racconta episodi della propria vita che ruotano attorno ad un pallone, con la capacità di trasformare un semplice racconto legato alla propria infanzia in una pagina di riflessione sul movimento ultras, sulla gestione speculativa che c’è stata nel calcio a partire dagli anni ’90, fino a toccare vicende cittadine che, in larga scala, rispecchiano un’Italia sempre più distratta e divisa. Nel capitolo “Le due città”, racconta una Foggia divisa da un muro invisibile in parte attiva e parte passiva, in chi è pronto a combattere e rischiare e chi invece al massimo ripete da anni “non sono queste le cose serie, le cose per cui bisognerebbe manifestare, che se poi gli chiedi quali siano non lo sanno”. A testimonianza di come il calcio, spesso, sia lo specchio della società. Berlingieri parla di una curva, anch’essa divisa, questa volta, in parte pensante e parte assoggettata alle decisioni prese dall’alto; la parte assoggettata che difende il presidente di turno perché ha promesso qualcosa e insulta quella parte della curva che non si è fatta corrompere da false promesse ed esprime il proprio dissenso verso un calcio intriso di Pay Tv e repressione. Attorno al calcio si descrivono gli anni ’90, le colonne sonore dell’epoca: Annie Lenox, gli Snap, i Litfiba; ma anche i pranzi consumati di fretta per correre allo stadio e la diretta radio dai campi.
Un racconto che colpisce al cuore di chi ha vissuto quegli anni in qualsiasi curva si sia trovato e ora è costretto a casa da un Daspo o si è arreso davanti allo strapotere delle Tv e dello Stato; quest’ultimo ha usato sempre le curve come palestre repressive per impedire un’aggregazione pericolosa, cercando di vuole muovere i fili di ultras che, ricordiamo per i più demonizzatori, sono “semplici” cittadini.

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