Sono trascorsi 40 anni dalla morte di Palmina Martinelli, la ragazzina fasanese che fiutava di prostituirsi – Deceduta dopo 21 giorni di agonia per le ustioni riportate su tutto il corpo – Ufficialmente suicida nonostante le accuse formulate nei confronti di due fratellastri – Caso riaperto dopo 35 anni, emblematico della violenza sulle donne.
Il 2 dicembre di 40 anni fa, era il 1981, nel reparto grandi ustionati dell’ospedale di Bari si spegneva Palmina Martinelli, una ragazza fasanese di 14 anni arsa viva per aver rifiutato di prostituirsi. Un caso emblematico di inaudita violenza sulle donne che purtroppo nel tempo è divenuta un costante elemento della cronaca nera, con decine di omicidi consumati ogni anno.
Il 11 novembre 1981 si svolse l’epilogo della storia di Palmina Martinelli che sperava di fuggire da un destino che pareva segnato, la prostituzione. Quando l’adolescente rifiutò di mercificarsi venne cosparsa di alcool e le fu dato fuoco. La ragazzina corse in bagno per spegnere le fiamme sotto la doccia, ma l’acqua quel pomeriggio mancava. Lì fu ritrovata dal fratello maggiore che dopo una mezz’ora la portò al pronto soccorso dell’ospedale di Fasano, dove, per le sue gravi condizioni con ustioni di secondo e terzo grado sul 70% del corpo, fu trasportata al centro grandi ustionati del Policlinico di Bari, in gravissime condizioni.
A Bari il 2 dicembre 1981, il suo cuore smise di battere dopo 21 giorni di sofferenze atroci. Prima di spegnersi, la 14enne fece nome e cognome dei suoi carnefici, indicando chi le aveva fatto del male: due fratelli di Locorotondo, il ragazzo di cui era innamorata e il compagno di una delle sorelle della 14enne, costretta a sua volta a prostituirsi in una chiesa sconsacrata di Locorotondo sotto la minaccia che la figlioletta di pochi mesi sarebbe stata uccisa in caso di rifiuto. Le parole di Palmina, in punto di morte, furono incise sul nastro di un vecchio registratore e usate come prova dall’allora procuratore capo Nicola Magrone nel processo contro i due fratellastri che comunque vennero giudicati innocenti e assolti per non aver commesso il fatto; sentenza confermata in Cassazione.
Per la giustizia, dunque, non c’era stato nessun omicidio. Palmina s’era suicidata perché non voleva prostituirsi. La sua confessione venne archiviata come il tentativo di una ragazza intenzionata a trascinare nella tragedia quante più persone possibili.
35 anni dopo, grazie alla battaglia portata avanti dalla sorella Giacomina, nel 2016, il caso è stato riaperto; l’ipotesi di reato è quella di omicidio aggravato a carico di ignoti. I nomi che Palmina indicò sul letto di morte come i suoi assassini non potranno più essere giudicati, ma a distanza di tanti anni è importante che venga ridata dignità ad una ragazzina morta perché nessuno l’ha difesa da chi voleva costringerla a vendere il suo corpo.
A 40 anni dalla morte il caso Martinelli, che portò Fasano all’attenzione dei media nazionali, è divenuto emblematico e purtroppo precursore di una violenza sulla donne che occupa oggi ampie pagine di cronaca nera. Il caso Martinelli è divenuto anche significativo per coloro che questa violenza vogliono combatterla e prevenirla, come l’Associazione “Libera” che ha inserito il nome di Palmina tra quelli delle vittime della mafia e della criminalità organizzata.
Il 23 aprile del 2012, l’amministrazione comunale di Fasano, di concerto con l’associazione “Libera”, intitolò una piazza a “Palmina Martinelli, giovane vittima di crudele violenza”. A scoprire la targa fu il sindaco Lello Di Bari (il medico che per primo curò la giovane al pronto soccorso dell’ospedale cittadino) insieme a Mina Martinelli (la sorella il cui impegno ha consentito la riapertura delle indagini) e a Nicola Magrone (allora pubblico ministero del processo che vide alla sbarra i presunti autori della violenza). Una vicenda che dopo 40 anni presenta ancora punti oscuri e che non va dimenticata perché la libertà personale e il rispetto della persona umana non sono solo valori assoluti, ma condizioni indispensabili per la civile convivenza.